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Ricognizione sui santuari sanniti. Relazione preliminare del progetto “Paesaggio sacro 2004”

Santuari e altri luoghi sacri costituiscono un’inestimabile fonte di informazioni sulle comunità italiche. Importante tanto quanto i luoghi sacri stessi è il loro rapporto con altri elementi del paesaggio culturale, come gli insediamenti, le necropoli e le strade. Questo “paesaggio del sacro” è essenziale per la nostra comprensione delle funzioni mutevoli e dei significati culturali dei santuari. Un grande problema che affligge lo studio dei santuari dell’Italia meridionale e centrale è la frequente assenza di informazioni sul loro contesto spaziale.

Il “Progetto Paesaggio Sacro” mira a ridurre questa lacuna nella documentazione archeologica e, sono ora programmate varie indagini intensive sul campo intorno ai santuari italici selezionati. Nel marzo 2004 è stata condotta la prima ricognizione intorno a due santuari molisani: i santuari di Gildone (località Cupa) e il santuario di S. Giovanni in Galdo (località Colle Rimontato), entrambi situati nell’Alta Valle del Tappino. Si pensa che in antichità questa parte collinare del Molise sud-orientale fosse abitata da una delle cinque tribù sannite, i cosiddetti Sanniti Pentri.

Gli autori antichi attribuiscono un ruolo importante ai Sanniti Pentri nella resistenza italica all’espansione romana, dalle guerre sannitiche nella seconda metà del IV secolo a.C. fino alla guerra sociale all’inizio del I secolo a.C. Un aspetto a lungo dibattuto della società sannitica è la sua organizzazione politica e sociale, che sembra aver funzionato all’interno di un assetto territoriale piuttosto decentralizzato. In questo contesto, ai santuari viene spesso assegnato un ruolo fondamentale, considerati come luoghi centrali con funzioni politiche, commerciali e religiose. A nostro avviso, è questa qualità aggregativa che rende l’analisi dei santuari così preziosa per lo studio dei cambiamenti socio-politici nelle comunità sannitiche. La generosa attenzione dedicata ai santuari dalla società sannitica, come è possibile notare nelle costruzioni e nelle attività di abbellimento nel III e II secolo a.C., è sorprendente, soprattutto se paragonate ad altri edifici pubblici o architetture domestiche del periodo.

Le forme architettoniche scelte e le dediche fatte suggeriscono che in questi luoghi si stessero articolando identità di gruppo specifiche. Queste identità comuni possono avere assunto connotazioni etniche in circostanze storiche specifiche. Questo aspetto può essere colto più saldamente nel complesso santuario di Pietrabbondante, con ogni probabilità considerato il punto focale del paesaggio sacro dei Sanniti. Si conosce molto meno, invece, del paesaggio sacro sannitico a livello locale: ovvero intorno ai santuari e ai santuari minori. Sebbene l’ipotesi generale sia che questi debbano essere “santuari rurali”, la loro “ruralità” non possa essere semplicemente assunta ex silentio, ovvero sulla mancanza di prove contrarie. L’esistenza di un pregiudizio maggiore, derivante da una tradizione accademica che ha prestato un’attenzione sproporzionata agli elementi monumentali del paesaggio a scapito di forme più modeste di insediamento, dovrebbe essere presa in seria considerazione quando si pensa alla funzione dei santuari.

Allo stato attuale, il dibattito sulle forme di insediamento e sul ruolo dei santuari al loro interno è giunto a un punto morto, a causa della cattiva interpretazione riguardante idee e preconcetti socio-politici. Sebbene la nostra conoscenza degli insediamenti sanniti sia aumentata considerevolmente negli ultimi decenni, la questione non è mai stata affrontata in modo specifico dalla volontà di comprendere il funzionamento del “paesaggio sacro”. Chi visitava regolarmente i santuari minori dispersi nel territorio sannitico? È questa domanda fondamentale che deve essere prima affrontata se vogliamo occuparci di questioni più difficili, come quali intenzioni abbiamo avuto i pellegrini antichi o come l’esperienza di queste comunità di fedeli sia legata alla costruzione di un più ampio ente “sannitico”.

Lo scopo dell’indagine del 2004 è stato quindi quello di mettere in luce il rapporto dei santuari di Colle Rimontato e Cupa con il loro ambiente diretto, che prima era sconosciuto, a parte alcuni reperti isolati. Lo abbiamo fatto cercando di stabilire il modello di insediamento in cui erano inseriti i rispettivi santuari. Inoltre, attraverso lo studio comparativo dei dati di insediamento e del materiale dei santuari stessi, dall’attuale indagine così come dagli scavi, si spera di ottenere maggiori informazioni sulle comunità che si sono insediate, hanno monumentalizzato, frequentato e infine abbandonato questi luoghi sacri.

I resti di S. Giovanni in Galdo, località Colle Rimontato, forniscono una buona idea visiva dell’antico santuario. L’edificio del tempio rappresenta la fase monumentalizzata (dalla fine del II al I secolo a.C.) ed è stato considerato un ‘tipico’ santuario sannitico di questo periodo. Il contesto attorno al santuario è sconosciuto, ad eccezione di alcune tombe trovate nelle vicinanze che Angela Di Niro ha attribuito alla prima fase del santuario. Il santuario di Gildone, località Cupa, invece, presenta poca architettura a causa degli interventi effettuati nel 1935-1938 durante la costruzione di una strada. Una somiglianza con il santuario di Colle Rimontato è apparsa plausibile alla maggior parte degli autori. Alcune delle decorazioni in terracotta del tetto sono state conservate, così come doni votivi relativamente opulenti da un deposito vicino. Nell’area più ampia alle pendici della Montagna di Gildone sono state documentate diverse tracce archeologiche, ma non si conosce il contesto diretto del santuario.

Per comprendere i paesaggi dei santuari di S. Giovanni in Galdo e Gildone, è stata oggetto di ricerca un’area di circa 1,5 chilometri quadrati intorno a ciascun santuario, tagliando diversi elementi geomorfologici come le cime delle colline, i pendii, le valli fluviali e i terrazzamenti. Entrambe le aree campione sono state rilevate in unità di circa 50 metri per 100 metri a intervalli di 10 metri tra i partecipanti alle ricognizioni. Tutto il materiale archeologico incontrato è stato raccolto, lavato e studiato. Nei luoghi in cui c’erano troppi materiali archeologici da raccogliere, il loro numero è stato contato in piccole aree campione di 1 metro quadrato. Ciò ha reso una stima approssimativa della quantità totale possibile. Per ciascuna unità sono stati registrati l’uso del suolo, i processi di erosione rilevati, la lavorazione del terreno e vari fattori di visibilità. Tutti i manufatti ritrovati sono stati sottoposti a un esame più approfondito. Dopo un primo campionamento standard tutte le aree ad alta densità di artefatti (chiamate anche siti) sono state ricampionate al fine di quantificare la densità del materiale in varie posizioni all’interno di una concentrazione, nonché per raccogliere materiale diagnostico aggiuntivo per datazione e analisi funzionale. Un GPS è stato utilizzato per stabilire le coordinate e i contorni delle concentrazioni di materiale archeologico incontrato. I margini del sito sono stati mappati su mappe 1: 10000 della Regione Molise.

Il santuario di San Giovanni in Galdo e gli immediati dintorni sono stati campionati in maniera più dettagliata. Qui è stata utilizzata un’indagine intensiva sul sito. L’area è stata rilevata in unità di 10 metri x 10 metri a intervalli di 2 metri. L’obiettivo principale di questa strategia di indagine del sito, molto dispendiosa in termini di tempo, è quello di creare una mappa di contorno della densità di manufatti di questa complessa realtà archeologica. Sulla base di questa mappa cercheremo di elaborare un’ipotesi sulla possibile esistenza di altre strutture che circondano il sacello.

Sebbene lo studio dei dati raccolti sia ancora in corso, si possono fare comunque delle osservazioni preliminari. Nell’area del santuario di San Giovanni in Galdo presso Colle Rimontato si individua un modello insediativo abbastanza raggruppato. I “siti” sannitici e romani si trovano a est del santuario. Questa zona è delimitata ad est e a sud da pendii molto ripidi. Al centro di questa zona panoramica, a poco più di 500 mt. dal santuario di Colle Rimontato, vi è un’alta concentrazione di materiale archeologico. Questo è costituito da diversi materiali grossolani, tegole o anche prodotti pregiati, tra cui frammenti di ceramica a vernice nera e ceramica sigillata. Il bosco rende difficile stabilire la dimensione precisa di questo sito, ma copre un’area approssimativa di 4 ettari. La cronologia di questo insediamento sembra corrispondere a quella del santuario (IV secolo a.C. – II secolo d.C.). Attorno a questo nucleo ci sono vari siti molto piccoli. Qui sono stati ritrovati prodotti grossolani e tegole. Sorprendentemente, sono pochi i siti di questo periodo che sono stati identificati attorno al santuario. Ben diversa è la situazione del santuario in zona Cupa a Gildone. La maggior parte dei siti sono collocati nelle vicinanze della moderna “strada statale”, molto probabilmente un importante percorso antico. A lato di questa strada sono stati individuati quattro siti abbastanza grandi, ma dispersi, a 200 metri l’uno dall’altro. Uno di questi siti è lo stesso santuario di zona Cupa, come è stato confermato dal ritrovamento di una base di colonna e di grandi quantità di oggetti di pregio. Questa posizione ben si sposa con la descrizione di Vincenzo D’Amico, medico e storico locale, che ha documentato lo scavo del santuario. A nord della strada, sono stati individuati due siti minori. Qui, però, vi è un numero relativamente elevato di siti risalenti al periodo precedente rispetto a quello sannitico/romano. I primi risultati dell’indagine suggeriscono che la “ruralità”, almeno del santuario di San Giovanni in Colle Rimontato, deve essere ridefinita. La presenza di un sito contemporaneo di notevoli dimensioni a una distanza di 500 metri può indicare il profilo dell’organizzazione spaziale e sociale di una piccola comunità sannitica. Nell’area della valle del Tappino, l’occupazione antica sembra gravare attorno all’antico tracciato, in questa luce va vista anche l’ubicazione del santuario. Finora abbiamo capito che le circostanze in cui i santuari sono stati installati e frequentati possono variare notevolmente da luogo a luogo e che le loro specifiche funzioni non possono essere dedotte da preconcetti sulla società italica.

Testo tradotto da : Stek, T.D.; Pelgrom, J. (2005) Samnite sanctuaries surveyed. Preliminary report of the Sacred Landscape Project 2004, BABesh, 80, 65-71

Liceo linguistico G.M. Galanti, Campobasso P.C.T.O. 2020/2021 4^F alunne e alunni: Fiorilli Chiara, Meloscia Davide, Preziuso Bianca Giuseppina.

I Sanniti e i santuari

Nel modello di insediamento sannita, disperso e rurale, i santuari erano un altro elemento fondamentale della strutturazione del territorio.  A livello archeologico risulta evidente la presenza di luoghi di culto a partire dal periodo tardo arcaico (es. Pietrabbondante, Valle d’Ansanto). Vi erano popolazioni stanziate in un distretto territoriale o di un singolo insediamento (villaggio).  Accanto a questi, c’erano anche un numero di santuari che sembrerebbero aver avuto una maggiore importanza, essendo legati a più comunità o ad entità di tipo “cantonale” (ad esempio, tra i Sanniti Pentri, questo potrebbe forse essere stato il caso del santuario di Campochiaro).  Altri ancora, i più antichi e importanti, sembrano essere stati di importanza etnico / “tribale”, quindi ancora maggiore (es. il santuario di Pietrabbondante tra i Sanniti Pentri, o quello di Mefite nella Valle d’Ansanto per gli Irpini).  È probabile che molti dei luoghi di culto sannitici (presumibilmente la maggior parte), specialmente quelli di un contesto più strettamente locale, avessero edifici abbastanza modesti e durevoli o fossero privi di essi del tutto: come quelli che avevano mantenuto nel tempo la natura di un culto a cielo aperto in un luogo posto su una collina e, almeno in alcuni casi, collegato alla presenza di una sorgente.  In un certo numero di casi, abbiamo indizi sull’esistenza di veri e propri boschi sacri, o strutture artificiali costruite all’interno di un “nemus” o di un “silva” (bosco, foresta).  In altri esempi si evidenzia la presenza di strutture (semplici recinti quadrati, con uno o più altari all’interno) corrispondenti a quella definizione tecnica che gli antichi davano di sacello.  Era inteso come luogo di culto a cielo aperto anche il sacro “hortus conclusus”, ovvero spazio chiuso in cui si svolgevano le cerimonie previste dalla cosiddetta Tavola di Agnone (uno dei principali testi epigrafici in lingua osco-sannitica, databile al III secolo a.C.) e recinti delimitati da teli di lino, al cui interno sarebbe avvenuta il giuramento della legio linteata sannitica nel 293 a.C., un corpo speciale dell’esercito Sannita.  Inoltre, lo stesso santuario di Mefite in Valle d’Ansanto, tra il IV e il II secolo a.C., comincia ad apparire sostanzialmente come un luogo di culto a cielo aperto.  Col tempo, alcuni santuari e luoghi di culto sanniti iniziarono ad assumere una certa dignità architettonica.  Dal III secolo a. C. – soprattutto verso la sua fine fino alla Guerra Sociale – si registra nel Sannio (in particolare nei territori dei Pentri, Carricini e Frentani) un vero fiorire di edificazione templare.  Questa intensa attività sembra essere indirizzata in particolare alla ristrutturazione e monumentalizzazione di luoghi di culto ed edifici preesistenti o alla costruzione di nuovi.  Ciò è reso reale dall’erezione di templi ed edifici di raffinata architettura di ispirazione ellenistica e costituisce la manifestazione più eclatante della politica di euergetismo, ovvero l’antica pratica degli individui di alto rango di donare la propria ricchezza alla comunità che rispecchiano la munificenza delle classi superiori sannite del tempo. I templi sono spesso sostenuti da grandi fondamenta con podi modanati, accessibili tramite gradini. Nella maggior parte dei casi assumono l’aspetto di un prostilo, edificio tetrastilo, con le sene angolari, spesso provvisto di altre due colonne nel portico. La pianta più diffusa è quella di un’unica cella, attestata almeno dalla fine del III secolo a.C. in poi (Tempio A di Pietrabbondante, Schiavi d’Abruzzo, Campochiaro, Vastogirardi, Quadri, ecc.). Meno comuni sono gli edifici ispirati, possibilmente con una certa libertà, sul modello del tempio a tre celle (Casalbore, Circello, Tempio B di Pietrabbondante). Di questa seconda tradizione, forse documentata dal III secolo a.C. in poi, il miglior esempio è rappresentato dal monumentale Tempio B di Pietrabbondante (inizi del I secolo a.C.), unito ad un teatro sottostante nello schema caratteristico del “teatro-tempio”. Molte cose indicano che è il santuario più importante del territorio Sannitico: la sua posizione topografica, l’antichità e la durata del culto, la tipologia dell’offerta votiva (abbondanza di armi e altri oggetti appartenenti ideologicamente all’ambito militare), la ricchezza delle testimonianze epigrafiche e la caratteristica monumentalità degli edifici. Questo era un santuario che doveva essere significativo per tutti i Sanniti Pentri. Gli altri luoghi di culto e santuari sannitici attivi tra il IV e il II secolo a.C. sembrano essere stati sostanzialmente omogenei nel carattere, sia nella composizione che nelle tipologie di classe e materiale. I depositi votivi sanniti ci hanno restituito manufatti di argilla (ceramiche, statuette, poi dalla fine del IV secolo a.C. in poi, ex voto anatomici) e materiali metallici (statuette di bronzo di Ercole, oggetti di ornamento personale, armi, monete, ecc.). In linea di massima le offerte e gli ex voto sembrano riflettere l’universo devozionale locale, legato a forme di religione popolare, a culti e divinità ancora fortemente connessi al mondo agrario e pastorale e ai valori di sanatio e fertilità. Meno frequente, nel contesto dei santuari dei sanniti, è il ritrovamento di vere statue di culto, come la statua in terracotta a grandezza naturale di Atena di Roccaspramonte, o di doni votivi fatti di piccole sculture in pietra calcarea, come quella scoperta poco prima della metà dell’Ottocento nei pressi di Agnone.

Testo tradotto da porzione di: Tagliamonte. G. (  2018) The Samnites, In Farney, G.D.; Bradley, G. (eds) Peoples of ancient Italy, Walter De Gruyter Inc., Boston/Berlin, 419-446

Liceo linguistico G.M. Galanti, Campobasso P.C.T.O. 2020/2021 4^F alunni e alunne: Fiorilli Chiara, Meloscia Davide, Preziuso Bianca Giuseppina.